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venerdì 20 aprile 2007

Le transition towns

Da www.corriere.it del 20 aprile 2007
(articolo di Paola De Carolis


LONDRA (Gran Bretagna) - Come proiezione è preoccupante: tra cinque anni avremo consumato metà delle riserve naturali di greggio. Questo, almeno, è quanto sostiene Rob Hopkins, docente universitario e fondatore di un movimento che in Gran Bretagna e in Irlanda sta prendendo piede a ritmo sostenuto. Si chiama Transition towns (www.transitiontowns.org) e l'obiettivo è di convertire centri abitati a un'esistenza ecologica che faccia a meno del petrolio e dei suoi derivati. Niente auto, insomma, e niente plastica, addio cibi esotici in arrivo dall'altro capo del mondo, addio partenze in aereo.


GOVERNO ASSENTE - «Il governo parla di riforme verdi, ma alla fine non cambia niente», ha sottolineato Hopkins in una recente intervista al Guardian. «Il nostro movimento è per chi è stanco di aspettare e alle parole preferisce misure concrete». Un richiamo che la gente ha sentito. Perché è questa la differenza tra Transition Towns e altre organizzazioni che si battono per una maggiore sensibilità ecologica. Il gruppo di Hopkins passa la palla ai cittadini. Che siano loro a movimentare il governo dando il la e avviando iniziative efficaci e a basso costo.


PRIME ESPERIENZE - Apripista è stata Kinsale (nella foto), in Irlanda, dove l'iniziativa, partita l'anno scorso, ha ottenuto anche il sostegno finanziario del Comune (che ha contribuito con una cifra moderata, 5.000 euro, ma «è sempre meglio di niente», sottolinea Hopkins). Le abitudini maturate nel corso di mezzo secolo non si cambiano da un giorno all'altro, ma tentar non nuoce. Così i Transition Townies - questo il nome di coloro che aderiscono al movimento - stanno facendo una campagna educativa nelle scuole per convincere istituti e studenti della necessità di raggiungere le aule non su quattro ruote, ma due: in bicicletta. E perché no, dato che grazie a Transition Towns ci sono oggi a Kinsale più piste ciclabili dell'anno scorso? Non è che l'inizio. Perché come in tutti i centri "transizione" - e sono già diversi, Totnes, Falmouth, Moretonhampstead, Lewes, Ottery St Mary, Stroud, Ivybridge, Lampeter, nonché il quartiere di Brixton a Londra e l'intera città di Bristol - l'accento non è solo sul trasporto, ma anche su tecniche di agricoltura sostenibili, sul consumo di prodotti locali, sull'energia alternativa.


SOLE E ANTICHI MESTIERI - A Totnes, nel Devon, l'obiettivo è di installare, entro luglio, pannelli solari su 50 abitazioni, un esperimento che se avrà successo verrà esteso a tutta la cittadina. E dato che la presenza di greggio e petrolio ha da una parte semplificato la vita, ma dall'altra «creato una generazione che ha dimenticato arti antiche», ecco una serie di seminari per «rieducare la gente ai mestieri dei loro genitori». Come crescere le verdure nell'orto, come bruciare la legna nel modo meno dannoso per l'ambiente, come fare il pane, come rammendare le calze, come cucinare usando solo prodotti stagionali: dal giardino alla tavola, in pratica, senza bisogno di supermercati, di cipolle spagnole o fragole cilene.


COMUNITA' E APPARTENENZA - Secondo Duncan Law, "townie" volontario di Brixton, si tratta di un progetto che crea un senso di comunità e di appartenenza. «In genere il messaggio sull'ambiente è esclusivamente negativo, la filosofia di Transition Towns invece è positiva, nel senso che tutti possiamo fare qualcosa e, nel nostro piccolo, cambiare il mondo. In un quartiere come Brixton, dove non c'è un grande senso di solidarietà e ci sono vicini di casa che si conoscono appena, un'iniziativa che unisce la gente nel bene comune non può che essere benvenuta».

1 : commenti:

Betty ha detto...

Interessante articolo, ricco di stimoli di riflessione sui tempi che viviamo e sulle responsabilità individuali dell’ abusato fatto oltre ogni limite d’ogni risorsa che la natura ha messo a disposizione su questo pianeta. L’Irlanda è sicuramente esemplare in termini di senso civico e sensibilità nei confronti dell’ambiente. In un mio viaggio in Irlanda nel luglio del 2004, guidando per due settimane attraverso questo meraviglioso polmone verde lambito dal mare, ho avuto modo di soggiornare anche nella cittadina di Kinsdale, citata nell’articolo del Corriere della Sera. Ho apprezzato l’impegno e gli sforzi d’ogni singola persona nel rispettare, curare e proteggere le risorse ed il patrimonio naturale di cui il paese dispone. Il traffico automobilistico nella maggior parte del paese è talmente limitato che spesso non s’incrocia nessuna vettura per interi tragitti, fuori dai circuiti più prettamente turistici dove sono piuttosto gli autobus GT a transitare. La densità abitativa, anche attorno alle maggiori città, non è certamente paragonabile a quella della nostre metropoli italiane, per esempio. C’è da tener presente che il rapporto tra territorio e abitanti non è paragonabile a quello italiano e le attività produttive del paese sono più che altro legate alle produzioni agricole. Ma, presi pure in considerazione tutti i possibili alibi, concordo sul fatto che è la mentalità delle persone su cui si deve lavorare, sicuramente coadiuvata dall’offerta di servizi alternativi di trasporto efficienti e puntuali.
Altro esempio, nel 2005 sono stata in California, ho guidato lungo le grandi highway americane, nei grandi spazi sconfinati ma anche nel traffico di Los Angeles, dove esiste una corsia preferenziale dedicate esclusivamente alle vetture con più di due passeggeri a bordo e, parlando di senso civico, su quella corsia transitano veramente solo vetture con più passeggeri. Accadrebbe lo stesso in Italia, in una qualunque delle nostre metropoli ? Nei giorni di mia permanenza a L.A. ho potuto fare una piccola stima, la corsia preferenziale era molto frequentata pur garantendo una grande scorrevolezza, si evince che glia americani hanno ben recepito l’incentivo di sfruttare meno veicoli e viaggiarci in più persone. Evidentemente avrà dei benefici in termini pratici, ma sicuramente è anche, molto più semplicemente, una scelta di buonsenso.
Il senso civico,però, ha bisogno di essere stimolato e imposto, qualora non venisse recepito. Ricordare che le risorse di questo pianeta non sono un bene da sfruttare che ci spetti di diritto. Non abbiamo alcuna titolarità per pensare che tutto questo ci appartenga, non siamo i proprietari di questo pianeta, siamo semplicemente “inquilini” e come tali abbiamo responsabilità nel mantenimento e la restituzione del bene integro alle generazioni che verranno (clausola che, in effetti, anche le generazioni prima di noi, avrebbero dovuto sottoscrivere).
Forse oggi, non c’è più tempo… Penso che siamo prossimi al punto di ritorno e nessuno può più trovare scuse per tergiversare.

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